Metaphors / Selected Soundworks from the Cinema of Apichatpong Weerasethakul (Sub Rosa, 2017)

sr448_frontPer tutti gli appassionati del cinema thailandese (ammesso che esistano) una notizia che potrà farli sobbalzare: un’uscita ad opera della complessa etichetta Sub Rosa in cui vengono inclusi i lavori audio per i film di Apichatpong Weerasethakul (uno dei più famosi è il titolo Lo Zio Bunmee che si ricorda le vite precedenti, cui è valsa la palma d’oro a Cannes nel 2010, ma non possiamo non citare anche Cemetery of Splendour, Tropical Malady, Syndromes and a century, per esempio). La storia di questa sorta di antologia a cavallo tra cinema e musica (e quindi ci andiamo a situare nel campo del “suono”) ha dei trascorsi molto interessanti, come lo sono i suoi. Considerato come uno degli autori più interessanti del cinema contemporaneo, i suoi sette lungometraggi, i corti e le sue istallazioni, sparse internazionalmente, hanno ottenuto riconoscimenti in tutto il mondo, e questa compilation Metaphors, raccoglie 14 lavori sonori selezionati accuratamente dalle sue opere cinematografiche dal 2003.

Il Nostro ha lavorato sul design del suono dal 2003 dando molta importanza ai suoni registrati in loco, i classici (o innovativi, a seconda dei punti di vista) field recordings che danno il senso di continuità che si respira nei suoi film.
In post-produzione infatti Weerasethakul è affascinato dalla manipolazione di questi suoni per poter espreimere “la realtà”, e cioè, la sua rappresentazione, non l’attaccamento originale suono-luogo, ma piuttosto il sedimento di una memoria stratificata. Così come tratta le immagini, Apichatpong, subentra la fragilità dell’audio. Nel suo cinema, preferisce i suoni naturali rispetto alla musica, ma riesce anche ad incorporare canzoni popolari che magari venivano catturate durante le riprese.
In alcuni casi, addirittura, ci capita di ascoltare gli esperimenti audio di Kitano in Zatoichi dove il caso e il ritmo diventano un tutt’uno, in cui la totalità si esprime (come ha dichiarato Sakamoto quando ha ascoltato le opere audio di Weerasethakul). E questa totalità non ha nulla a che vedere col termine analizzato contrapposto ad infinito, come un mondo conchiuso, a tratti ottuso e (avendo appunto la stessa radice) “totalitario”. Il cinema definibile nella sua bellezza è quando rende possibile l’inaspettato, come la breve ma intensa lezione di cinema di Herzog dei 20 secondi di Grizzly Man, in cui proprio la spontaneità, la natura, il tempo e lo scorrere appaiono davanti alle nostre pupille, che solo chi sa guardare con meraviglia può apprezzare.
Il cinema di Apichatpong è pura meraviglia, silenzio, rumore, ignoto, passato (futuro), sapienza, metafora, poiché “spinge oltre”, come lo zio Bunmee che, nonostante il suo corpo sia in una camera d’albergo, ritrovandosi a guardare la tv assordante, si dissocia da quel mondo, da quel tempo, migrando la propria anima verso luoghi lontani, così lontani che il tempo si ferma, sia quello che ha abbandonato, che quello che ha nuovamente abbracciato.
Riccardo Gorone

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