Uri Caine @ Teatro di Rifredi (6 novembre 2017, Firenze)

whatsapp-image-2017-11-09-at-11-46-26Dicevamo pochi giorni fa, riferendoci alla rassegna fiorentina Musica dei Popoli, che ogni viaggio ha le sue tappe e i suoi imprevisti. Il caso di Uri Caine, all’interno della kermesse, è sia una tappa che un imprevisto: tappa perché prevista nella programmazione; imprevisto poiché il repertorio dedicato interamente a Monk è stata una vera sorpresa. Uri Caine, la cui ricerca pianistica del jazz sfocia molto nella contemporanea colta, ha sempre tentato di scardinare i concetti assodati di melodia, armonia, ritmo. Il vero precursore di questo ribaltamento, è proprio Monk che arricchiva i suoi accordi di stonature, triangolazioni armoniche, che rendevano il suo modo di suonare unico. La musica sghemba di Monk era come un voluto corto circuito musicale.

Le tonalità slittavano, i ritmi si alteravano e con più unica che rara finezza, le sue opere sono tutt’oggi, non solo conosciute, ma inimitabili. Non è assolutamente un caso che a metà spettacolo Caine dichiari “io amo Monk” e senza sprecare ulteriori parole, si sieda sullo sgabello e continui a suonare a rotta di collo. Ma cosa ha suonato Caine? Ha suonate Caine che suona Monk? Dove finisce Caine e comincia Monk? Il confine è sottile, per non dire liquido. Quel continuo corto circuito è stato reiterato dal Nostro in maniera spasmodica, quasi un’ossessione, rivoltando come un calzino ogni partitura (per esempio il caso di Misterioso, costituito da una scala armonica che Caine riesce ad infilare ovunque, perfino nel bis della sua Marcia Turca di Mozart che procedeva inesorabile come un carillon rotto). Monk è probabilmente stato un pretesto per creare ulteriormente perché da ogni brano, Caine riusciva a tirare fuori qualcos’altro: talvolta armonizzazioni pop, talvolta dodecafonie estreme, talvolta cacofonie improbabili. Il pianoforte era un’estensione dell’intenzione espressiva: serviva da percussione, da carillon, da timpano, ecc. Una scala timbrica pressoché infinita, come infinita la sua generosità (ha concesso tre bis) musicale, senza sprecare fiato. E ha fatto proprio bene, perché l’unica maniera per omaggiare un musicista non è ricordarlo “a parole”, ma “attuarlo”, o per meglio dire “attualizzarlo”. Nel caso di Uri Caine, l’esercizio poteva anche sembrare didascalico, ed invece ha solo messo in mostra le estreme conseguenze della composizione di Monk. Pioniere dell’azzardo e dell’invenzione.

Riccardo Gorone

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