Felix Kubin – Takt der Arbeit (Editions Mego, 2017)
Il concetto di ansia da prestazione, al di là di essere una sublimazione della nostra sfera sessuale (e fiumi d’inchiostro sono già stati versati da molti, si pensi a Freud, si pensi a Foucault, e la lista potrebbe continuare), è qualcosa che spunta fuori in tutta la sua limpidezza nel mondo del lavoro (e che poi la società tutta sia una sublimazione dei nostri stimoli sessuali, è lapalissiano, oltre che scontato). E il mondo del lavoro, ha una sua evoluzione (dalle gilde alle botteghe, dalle Corporazioni artigiane alle industrie, ai giorni nostri), una sua storia, fatta di documenti che sono a loro volta delle alienazioni. Se il lavoro industriale era difatti criticato (uno su tutti Marx) per via dell’alienazione, ci sono stati celebri documenti che hanno “giocato” su questa alienazione: i rumori, i movimenti, i “ritmi di lavoro”.
Questo disco, fin dal titolo, dice già a cosa si ispira (al ritmo del lavoro). Anche se dire che si “ispira” è un eufemismo, poiché l’album è molto più dentro la faccenda, è completamente costruito coi ritmi del lavoro (macchine industriali, rumori d’ufficio, telefoni, sigle di accensioni di computer, e chi più ne ha più ne metta). Ma Kubin, in quest’operazione, non si trova solo, ma accompagnato da tre percussionisti che scandiranno ancor di più le ritmiche. La mente del lavoratore già segue i ritmi delle cose che lo circondano, e qui i vari musicisti si danno man forte nel ricreare il paesaggio dell’uomo a una dimensione. Ma, anche qui, pensare che un’opera sia solo lo specchio della realtà, sarebbe vana cosa, poiché già essa è uno strumento di una possibile critica. Ma questa visione sembra davvero vetusta o, se non altro, anacronistico. Diciamo che, l’opera ha la possibilità di trasmutare la realtà (senza neanche considerare troppo che essa è parte della realtà) e renderla “estetica”, o, per meglio dire, la dimensione estetica permette di illuminare con una luce differente la realtà, cosicché quello che è il ritmo di lavoro, sposta l’accento sul ritmo di lavoro. Questione di tempo (sia storico che musicale), si sa, gira tutto intorno a quello. Il tempo muta nella storia, il suo concetto, la sua applicazione e, soprattutto, la sua percezione. Ecco, Takt der Arbeit può essere un utile strumento per percepire diversamente quel tempo che noi pensiamo di conoscere e, proprio per questo, lo disconosciamo.
Riccardo Gorone