Deepchord – Auratones (Soma Records, 2017)

somalp117-artworkIo mi ricordo degli anni ’90, ci sono cresciuto, eppure, come in tutte le epoche storiche, molte cose rimanevano sotto una coltre di silenzio. Le meraviglie che, per esempio, tiravano fuori Richie Hawtin o (i) Monolake vengono ripresi oggi urlando al capolavoro incompreso – e all’epoca certe scene, non avevano il successo che hanno oggi, quel successo retrogrado che oggi va tanto di moda, di quelli che si svegliano una mattina e ti dicono che 20 anni fa si faceva musica che noi non possiamo capire. Bene, e voi dov’eravate? Dov’era il vostro contributo per la diffusione di certe realtà? Non mi aspetto nessun tipo di contributo dalle persone – anche perché spesso e volentieri si fa più male che bene, ma certe riflessioni di pigri militanti in ritardo che oggi si vogliono ritagliare il loro piccolo qualcosa solo per poi rinfacciarlo solo seguendo l’hype, mi fanno storcere il naso (e a tratti anche le budella). Ma, senza scaldare gli animi, ci sono ancora fenomeni che ti possono svegliare e far tuffare nell’atmosfera di anni passati e il caso è questo, del leggendario DeepChord (che poi ha diversi moniker, come Echospace, Rod Modell che è dal 2001 che sforna sperimentazioni, affreschi, capaci di dipingere movimenti, nature morte, scene urbane e naturali, in flussi dub/techno/ambient inimitabili.

Musica cinematica, capace di dipingere splendidi affreschi in movimento, geografie in tumulto a più livelli in cui ogni suono è dettaglio di questo “big picture” . Una techno che trascina l’ascoltatore, lo trasporta come fanno le onde sulle scogliere. In compagnia o in solitudine, le sue tracce sono a metà strada tra la dancefloor e l’ascolto attento. A cavallo tra Detroit e Berlino, nelle sue caratteristiche acquatiche, questo Auratones è dolcezza, movimento, morbidezza, continuità, atmosfera che accoglie e che non sfida il fruitore. “Suoni sinestetici”, appunto, che coinvolge la percezione e la creatività. La dolcezza della complessiva tracklist mostra la dimensione senza tempo che ha poco senso descrivere dettagliatamente ma piuttosto come una immensa carrellata di flusso ritmico/sensoriale che si dipana in un vero e proprio viaggio (tracce come Portofino, Varanasi, Point Reyes, Lagonda, sono piuttosto esplicativi). Ed è appunto questa dimensione tutta da vivere e che, paradossalmente, non ha appigli temporali, che ha reso famoso Deepchord, il suo stile, la sua arte, che cancella le etichette e le definizioni ed è capace di declinare umanamente l’elettronica (e non è un caso che l’etichetta per cui esce si chiama “soma”, elemento umano per eccellenza). E potete concedermi nostalgia quando ci sono artisti che, nonostante passino i decenni, continuano a fare la loro musica sempiterna.

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