Battaglia di Montaperti, domani il 753° anniversario

MONTAPERTI (Siena) – Sono passati esattamente 753 anni dalla storica battaglia di Montaperti, oggi piccola frazione nel comune di Castelnuovo Berardenga, in provincia di Siena. Il 4 settembre 1260, i ghibellini di Siena, alleati col Regno di Sicilia di re Manfredi di Svevia, sconfissero pesantemente il potente esercito guelfo di Firenze. La vittoria dei senesi, che combatterono al fianco anche dei ghibellini pisani, dei ternani e di altri alleati toscani (soprattutto gli ascianesi, i santafioresi, i bonizzesi dell’attuale Poggibonsi, e alcuni fiorentini fuggiti), segnò inesorabilmente per qualche tempo il dominio della fazione ghibellina sulla Toscana, ma soprattutto definì per qualche anno il dominio della Repubblica di Siena sul panorama politico ed economico dell’epoca.

I fiorentini, alleati con la Lega Lombarda, con la parte guelfa di Arezzo, con Lucca, Orvieto, Bologna, Perugia e altri alleati toscani guelfi (Prato, San Gimignano, San Miniato, Volterra e Colle Val d’Elsa), nonostante schierassero 30.000 fanti e 3.000 cavalieri contro i 18.000 fanti e i 1.800 cavalieri ghibellini, subirono una cocente sconfitta. I guelfi lasciarono sul campo ben 10.000 morti contro i soli 600 (più 400 feriti) dei ghibellini che fecero anche 15.000 prigionieri.

Per vendicare una precedente scaramuccia, nella quale Firenze aveva fallito l’assedio di Siena che riconquistò Montepulciano e Montalcino, ai primi di settembre 1260 i guelfi fecero passare l’esercito alle porte di Siena, accampandosi nei pressi del fiume Arbia a Montaperti. Una leggenda narra che quando le truppe senesi si mossero verso quelle fiorentine, sfilarono tre volte sotto il Poggio delle Cortine (dove nel frattempo si era spostato l’accampamento guelfo) cambiando colore alle proprie divise per far credere all’esercito guelfo che i numeri erano nettamente dalla parte dei ghibellini.

Durante la battaglia, si verificò il tradimento di Bocca degli Abati che, nonostante fosse al fianco dei guelfi, in realtà era di parte ghibellina e, avvicinandosi al portastendardo fiorentino Jacopo de’ Pazzi, gli tranciò di netto la mano che reggeva l’insegna e lo uccise. Ma, secondo Marietta de’ Ricci, Bocca degli Abati sarebbe stato semplicemente geloso dell’amore tra il portastendardo e Cecilia Gherardini, figlia del condottiero Cece.

In seguito, il conte d’Arras attaccò alle spalle i fiorentini con la cavalleria tedesca e uccise il comandante generale dei guelfi, Iacopino Rangoni da Modena. I guelfi, senza il loro comandante, si disunirono e i ghibellini, lanciatisi trionfalmente all’attacco, dettero vita a quello che Dante Alighieri ricordò nel Canto X dell’Inferno della Divina Commedia come “lo strazio e ’l grande scempio che fece l’Arbia colorata in rosso, tal orazion fa far nel nostro tempio”. La sera stessa, Siena vinse contro Firenze col gonfalone fiorentino che fu attaccato alla coda di un asino e trascinato nella polvere.

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